PASTA MANCINI


Il grano della nostra terra


È come se la lavorazione artigianale fosse una grossa lente d'ingrandimento puntata sulla materia prima: ne enfatizza le caratteristiche, ne svela i segreti, ne racconta la storia. Per questo, ottenere un piatto di pasta sano, nutriente e gustoso significa ponderare con attenzione tutte le scelte, a partire dalla selezione delle varietà di grano duro. I valori qualitativi devono accordarsi come ad eseguire una musica: il peso ettolitrico, la quantità delle proteine, l'indice di glutine, l'indice di giallo. Solo in questo modo la sinfonia finale potrà dirsi riuscita. A criteri di equilibrio e proporzione si conformano tutte le tappe operative e, proprio come accade con le parole, anche i campi che circondano il pastificio, dopo la coltura del grano che li ha affaticati assorbendone la ricchezza, vengono ciclicamente seminati a pisello e a favino, specie miglioratrici che restituiscono al terreno la fertilità originaria. I campi dell'azienda Mancini somigliano dunque a una elegante trapunta multicolore, secondo una tradizione agronomica tipica delle Marche, che valorizza l'estetica del paesaggio, tutelando la produttività della terra. D'estate la doratura del grano maturo si affianca al marrone dei campi appena trebbiati; mentre il giallo dei girasoli, coltura da rinnovo, risalta accanto al verde poderoso delle leguminose e dell'erba medica.


Inclinate su se stesse per il peso dei chicchi, ma vigorose abbastanza perché la sommità non tocchi terra, le spighe che affollano i pendii dell'azienda Mancini incontrano il loro destino tra i mesi di giugno e luglio, con la trebbiatura. Il rumore pigro delle mietitrebbie si diffonde sotto il sole e nell'aria volteggia una pioggia di scaglie dorate, odorose di terra. Grano duro San Carlo e grano duro Levante, coltivati su superfici equivalenti, sono le due varietà selezionate per diventare pasta. Il primo si adatta bene ai terreni esposti a Sud e ben ventilati, mentre il secondo dà ottimi risultati anche in pianura e nei versanti più freddi. Tuttavia, in accordo con lo spirito d'iniziativa che fu di nonno Mariano, una parte di terreno è riservata ogni anno alla sperimentazione di nuove colture da aggiungere al consueto abbinamento, come variazioni annuali su un tema musicale già perfetto.


Un filo rosso unisce tutte le fasi del lavoro, al pastificio Mancini. È l'idea dell'avvolgere, del proteggere. Ed è un'energia che si respira soprattutto in autunno, quando il San Carlo e il Levante sono stoccati nei silobag, sacchi di polietilene disposti su un'ampia superficie pianeggiante, simili a lunghissimi cuscini paralleli. Dopo tante settimane di luce, il grano è messo a riposare al riparo dalle radiazioni solari, respinte dal bianco degli involucri.


Un sonno protetto che non richiede l'ausilio di componenti chimici, dato che sfrutta la respirazione dei chicchi, favorendo così il naturale sviluppo di anidride carbonica, perfetta per inibire la formazione di organismi nocivi alla salubrità del raccolto.


IL PASTIFICIO


Un pastificio in mezzo a un campo di grano


Tornando a casa, Massimo continuava a ripeterselo sottovoce, mentre il sole di fine giugno iniziava, tardivo, la discesa verso la notte. L'autoradio era solo un brusio di fondo, eppure in quell'attimo una voce lo richiamò, nitida: "Niente paura, niente paura, niente paura: ci pensa la vita, mi han detto così". Quando un sogno può realizzarsi sei a piedi nudi sul bordo di un precipizio. Sai che salterai, non se saprai volare. Poi, arrivano i segni.


Un lavoro ben fatto è svolto nella considerazione costante del suo destinatario, è una prova di generosità e di rispetto. Quando al pastificio si decide qualcosa, lo si fa insieme, pensando a quanti mangeranno Pasta Mancini e hanno il diritto di portare in tavola un prodotto che non deluda le aspettative. Le parole sono cangianti, mutano significato in base a quanto, come e soprattutto a chi le utilizza. La pronuncia stessa di un vocabolo può renderlo fertile o irrimediabilmente arido: la filosofia Mancini è quella di restituire senso al termine "qualità", depauperato dall'abuso che la gastronomia industriale ne ha fatto negli ultimi anni.


La progettazione del pastificio è durata un anno ed è iniziata proprio in autunno, come fosse una 'semina intellettuale'. Massimo ed Ernesto Paoletti, architetto ed amico fraterno, si sentivano bambini armati di pennarelli di fronte a un enorme foglio bianco. Dieci ettari di terreno per dare forma alle loro speranze e un solo obiettivo: fare del grano Mancini la migliore pasta possibile. Dopo un lungo periodo a scambiarsi opinioni, finalmente il primo schizzo, sintetico ed efficace. Ogni tentativo di modifica ulteriore: superfluo.


Pensato in relazione alle esigenze volumetriche del macchinario principale, anche il pastificio è stato 'seminato': uno sbancamento di 6 metri ha consentito di costruirlo per metà sotto il livello della collina, sul quale è stato invece posizionato l'ingresso principale, con l'intento di mantenere intatto l'equilibrio naturale delle linee. Una fondazione di cinque metri lo ha radicato a terra, simile ai numerosi alberi, vecchi e nuovi, che contornano i terreni dell'azienda. Gli ambienti sono progettati per fasi operative con esigenze di temperatura differenti. La zona di produzione, calda e umida, si trova nel cuore dell'edificio, protetta ai lati dai depositi della semola e della pasta, freschi e asciutti. L'area di confezionamento è inondata di luce, per facilitare il lavoro. All'esterno la struttura è avvolta dal legno, lunghissime assi orizzontali ne fluidificano il volume, integrandolo nel panorama come un ritaglio di fotografia attorno al quale un pittore abbia disegnato le colline. Il legno è isolante e cambia colore con le stagioni e con gli anni, così il pastificio è prima marrone, poi grigio, sabbia. È un luogo vivo, come la natura che lo ospita, le persone che ci lavorano, come la pasta che vi è custodita.




Marche

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